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CHI AIUTA CHI AIUTA? CAREGIVER FAMILIARI E SUPPORTO PSICOLOGICO: GLI UNMEET NEEDS DEL PNRR

La persona che ricopre il ruolo di caregiver familiare è finalmente figura meritevole di attenzione da parte della politica. Il suo ruolo è spesso insostituibile, e viene svolto senza compenso. Eppure, il carico di lavoro e di stress che pesa sulla sue spalle rischia di farne, a propria volta, persona da curare. Chi, e come, si occupa dei bisogni del caregiver? Scopriamo quali risorse del PNRR sono destinate al supporto del caregiver familiare.

PROTEGGERE LA SALUTE MENTALE DEL CAREGIVER, UNA PRIORITÀ “SOLO” PER OMS E ONU

Editoriale a cura del Prof. Sergio De Filippis

La malattia mentale è considerata una delle principali cause di morbilità in tutto il mondo e i problemi associati alla salute mentale rappresentano il 12% del carico globale di malattia. Ogni anno, dai dati della World Health Organization, (Mental Health Atlas 2020) risulta che a 165 milioni di persone in Europa viene diagnosticata una malattia o un disturbo mentale.

Nonostante le evidenze scientifiche che spiegano questa grave realtà, il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati nel piano d’azione 2013-2020 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’area della salute mentale porta alla conclusione che l’attenzione e gli investimenti dedicati alla sua promozione sono ancora insufficienti nella maggior parte dei paesi. A questo proposito, le Nazioni Unite, negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile per il 2030, fanno riferimento alla promozione della salute e del benessere mentale come uno degli obiettivi di intervento necessari e cruciali per trasformare il mondo in un contesto più sostenibile, mirando a garantire l’accesso a servizi sanitari di qualità e a promuovere il benessere per tutti a tutte le età.

Sebbene in alcuni paesi le politiche sanitarie e i programmi sanitari che contribuiscono al sostegno del caregiver siano in aumento, essere un caregiver familiare di una persona con malattia mentale può rappresentare una grossa difficoltà per la salute del caregiver (ad es. personale, relazionale, finanziaria e organizzativa). Pertanto, oltre alle misure di politica sanitaria, è essenziale sviluppare programmi di intervento focalizzati sui bisogni del cargiver. Il grado di burnout dipende dall’attuazione di strategie di coping e adattamento alla situazione, maggiori informazioni su come prendersi cura della persona con dipendenza fisica e mentale sono correlate a livelli più bassi di sovraccarico.

È stato riscontrato che i caregiver possono sperimentare una serie di indicatori che possono compromettere la loro salute mentale, come: esaurimento emotivo, ansia, depressione, paura e stress, che non sono legati all’età, ma piuttosto alla mancanza di conoscenza e preparazione, all’isolamento, ai vincoli finanziari, alla tensione, al sovraccarico psicologico, emotivo e fisico.

La promozione della qualità della vita, dell’autostima, della fiducia e dell’alfabetizzazione del caregiver sembrano essere indicatori di salute mentale positiva.

Prof. Sergio De Filippis
Prof. Sergio De Filippis

Psichiatra, Psicoterapeuta

Sembra che ci sia ancora molta strada da fare per quanto riguarda la salute mentale dei caregiver familiari. Tuttavia, la conoscenza dei fattori con potenziale influenza sulla salute mentale del caregiver, possono contribuire alla mitigazione degli aspetti complicanti di questo processo, nonché alla risoluzione di strategie che possano soddisfare i bisogni del caregiver, promuovendone la salute mentale, una migliore qualità di vita e, di conseguenza, garantendo una migliore soddisfazione di tutte le parti.

CHI SONO I CAREGIVERS

Definizione di Caregiver: colui o colei che fornisce cura. Un termine generico mutuato dall’inglese, che può avere una doppia valenza. Caregiver sono tutte le figure professionali che svolgono la funzione di accudimento nei riguardi di un/a assistito/a: badanti, infermieri/e, OSS, babysitter, e via discorrendo. Tuttavia, quando si pensa al/la caregiver, non è a queste figure professionali che si pensa. Il/la caregiver per antonomasia è il/la familiare che accudisce una persona cara “non per soldi, ma per amore”. Nell’immaginario collettivo il/la caregiver è dunque una figura amorevole, paziente, devota, che fa del sacrificio la massima espressione del sé.

Chiunque può diventare caregiver prima o dopo nella vita. Si parla di caregiver familiare, o informale, quando chi cura lo fa per necessità. Figli, coniugi, genitori, fratelli. Un/a caregiver rivoluziona la propria vita in funzione delle necessità di una persona cara che sta male. Si tratta quindi di un ruolo che non viene scelto, ma imposto dalle circostanze. Può comportare passaggi dolorosi quali:

  • lasciare un lavoro a tempo pieno;
  • trascurare altre persone della famiglia;
  • sottrarre tempo alle propria vita relazionale, sociale, ai propri hobby;
  • perdere sonno;
  • trascurare la propria stessa salute, ad esempio posticipando all’infinito esami di screening o persino visite mediche anche in presenza di sintomi da valutare.

In Italia nel 2018, prima della pandemia, quasi il 40% delle persone lavoratrici tra i 18 e i 64 anni, poteva rientrare nella “categoria” del caregiver, in qualità di accudente di un proprio caro, secondo dati ISTAT. Svolgere una professione a tempo pieno, e allo stesso tempo prendersi cura di una persona disabile, però, non sempre (quasi mai), sono conciliabili. Non sono rari i casi di persone, specialmente donne, che oggi si trovano in condizioni economicamente precarie dopo aver dovuto lasciare un lavoro che era incompatibile con le esigenze della persona con disabilità da accudire.

CAREGIVER FAMILIARE E PNRR: TUTTO ANCORA DA FARE

A fronte di questo stato di cose, che in base alle condizioni mediche della persona da accudire può protrarsi per anni di fortissimo logoramento, cosa offre il SSN per ammortizzare il carico di fatica e i disagi economici cui il/la caregiver informale fa incontro? Considerando che il servizio reso gratuitamente dal/la caregiver informale copre, a tutti gli effetti, un “buco” in termini di welfare, che non viene risarcito se non con risibili e umilianti elemosine una tantum. Al momento, in Italia, succede molto in termini di buone intenzioni, e poco sul fronte pratico.

A gennaio 2024 il Governo ha aperto un Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari. Ad occuparsene è il Ministero per le disabilità, il quale ha istituito un tavolo tecnico della durata di sei mesi, per l’attuazione di una legge delega in materia di politiche per le persone anziane. Il programma è ambizioso, tanto che sul sito ufficiale del Ministero si legge una dichiarazione della ministra Locatelli:

Alessandra Locatelli

“Il riconoscimento dei caregiver familiari, in particolare conviventi, non può più essere rinviato. Abbiamo il dovere di dare risposte a tutte quelle persone che amano e che curano i propri cari, e che non vogliono essere sostituite, ma tutelate e sostenute adeguatamente nel loro compito. È arrivato il momento di dare una cornice normativa al ruolo di caregiver familiare, e un adeguato riconoscimento in particolare al caregiver familiare convivente. L’obiettivo è arrivare a una proposta condivisa che possa accompagnare e facilitare i familiari nei compiti di cura in tutte le fasi della vita quotidiana”.

Cuore dell’intervento: riconoscimento e supporto economico per la figura del caregiver familiare convivente che non vuole essere sostituita nell’accudimento del proprio congiunto. Ipoteticamente dovremmo quindi giungere ad un posizionamento del/la caregiver all’interno di un sistema integrato di presa in carico della persona con disabilità. Questo, in sunto, ciò su cui il tavolo tecnico si sta misurando in questi mesi, con il budget a disposizione. Ma su quali principi, e con quali mezzi?

Facciamo un passo indietro, e scopriamo che il 3 ottobre del 2022, l’Italia è stata condannata dall’ONU per aver disatteso la convenzione per i Diritti delle Persone con Disabilità, formalmente accettata nel 2006, sulla tutela giuridica della figura del/la caregiver. Una violazione a cui il Governo intende porre rimedio proprio in questo 2024.

Tornando, quindi, alla politica, le strategie che concretamente dovrebbero andare nella direzione di tutelare e supportare la figura del/la caregiver familiare, sono incluse nelle misure di attuazione del PNRR. Precisamente nella Missione numero 5 di Inclusione e Coesione, all’interno della quale si dovrebbe inserire una Legge quadro della disabilità. Come nessuno dovrebbe dimenticare, la quantificazione dei fondi europei del PNRR da destinare all’Italia venne basata su una sorta di “conteggio” dei danni economici causati dalla pandemia.

Marina Calderone

“L’esperienza della pandemia e i cambiamenti a cui assistiamo nella nostra società, non da ultimo l’aumento dell’età media della popolazione, ci pongono davanti alla sfida di tenere in equilibrio l’assistenza specialistica e tutte quelle azioni che contribuiscono a una vita di qualità, anche in situazioni di fragilità. La definizione del ruolo di caregiver ci permetterà di predisporre meglio le politiche e gli interventi che li coinvolgeranno.”

Prima della pandemia, già nell’anno 2018, con la Legge di bilancio 205/2017, era stato istituito un Fondo per il Sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare. È a tale Fondo che si è aggiunto il nuovo Fondo, dipendente dal Dipartimento per le Politiche sociali, con copertura finanziaria di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022, 2023, da destinare alle Regioni. Lo scopo era quello di sostenere gli interventi normativi volti a valorizzare e supportare sotto il profilo socio-economico la figura del caregiver. Evidentemente qualcosa deve essere andato storto, vista la condanna ONU del 3 ottobre 2022.

Il quadro geopolitico del 2024 non potrebbe essere più confusamente fosco, non è pertanto possibile prevedere se, e in quali termini, la Legge quadro sulla figura del/la caregiver verrà portata a completamento e su come si tradurrà in termini pratici.

CAREGIVER FAMILIARE: COSA SUCCEDE IN EUROPA

In Europa le cose si muovono indicativamente nel verso giusto. Sulla salute mentale dei caregiver che accudiscono persone con patologie mentali e demenze è attivo un progetto telematico chiamato Family Caregiver support, che fornisce strumenti di sostegno usando una piattaforma on-line e una app per smartphone. Sul sito web che illustra le finalità del progetto mettendo in luce le pesanti condizioni di vita del/la caregiver familiare, è evidenziato un concetto chiave:

Durante la preparazione di questo progetto, i partners si sono resi conto che in tutti i paesi dell’EU il sostegno ai caregivers riguarda soltanto aspetti finanziari e assicurativi. Si può dire che, a parte le informazioni sugli argomenti sopra citati, i membri della famiglia vengono lasciati soli senza la possibilità di avere accesso immediato al supporto sociale e psicologico. Inoltre, in molti paesi, una politica neoliberista intende ridurre il sistema del welfare ed espandere i costi dell’assistenza professionale alle famiglie. Perciò, l’obiettivo generale di questo progetto è responsabilizzare i membri caregivers della famiglia e dare loro un accesso immediato e di facile comprensione sia alle informazioni mediche pertinenti sia al sostegno psicologico di cui possono avere bisogno.

Chiarissima l’indicazione di superare il concetto che l’aiuto al caregiver familiare debba essere solo di natura finanziaria o assicurativa. Così come chiara è la denuncia di sistemi sanitari, e di politiche sanitarie nazionali e regionali ottuse, che trascurano in modo gravissimo le necessità di assistenza dei e delle caregiver, di fatto assimilandole a professionisti della cura e non “vedendole” come persone a loro volta a rischio di problemi di salute nel breve e lungo termine. Il caregiver familiare necessita di supporto sociale e psicologico, perché è ad alto rischio di sviluppare a sua volta patologie mentali, prevalentemente per lo stress, la mancanza di tempo di qualità per sé, l’impossibilità di riprendere la propria attività lavorativa, l’angoscia di sentirsi solo/a e tagliato/a fuori dal tessuto sociale di appartenenza. Il caregiver familiare non ha scelto il suo ruolo, e per quanto possa affrontare questa grande sfida con abnegazione, nondimeno tale scelta obbligata comporta un sacrificio che può diventare intollerabile.

La piattaforma e le applicazioni per smartphone di Family Caregiver Support sono una goccia nel mare, ma mirano a fornire al/la caregiver informale materiali, informazioni, strumenti di conoscenza per proteggere la propria salute mentale secondo la base concettuale del Self Parenting:

“Solo quando aiutiamo noi stessi, possiamo aiutare gli altri”

CAREGIVER BURDEN: NON SOLO UN AFFARE DI FAMIGLIA

Definizione di “burden” del caregiver:

Le dimensioni e le sfaccettature del “fardello” percepito dalla persona che si prende cura a tempo pieno di un familiare o un congiunto con forme di disabilità.

Il “fardello”, è esattamente quel peso che grava costantemente sul/la caregiver, che è invisibile a chi non svolga quel ruolo e non abbia idea di cosa comporti esattamente. Non è un caso se il concetto di invisibilità è strettamente connesso con quello di burden. Studi, però, hanno provato ad investigare sul contenuto di questo fardello così pesante, e su quali conseguenze comporti il doverlo portare per tanto tempo, senza un aiuto adeguato. In ordine sparso parliamo di:

  • deprivazione del sonno;
  • malnutrizione;
  • trascuratezza delle propria salute;
  • rischio maggiorato, rispetto ai non caregiver, di malattie croniche;
  • condizioni mediche associate: colesterolo alto, ipertensione, sovrappeso;
  • rischio maggiorato di depressione clinica (tra il 6 e il 15% dei caregiver ne soffre).

Come fa un/a caregiver a capire di essere ad alto rischio di ammalarsi a propria volta, e di essere quindi in piena sindrome da stress del caregiver, o burn-out del/la caregiver? Ad esempio perché:

  • ha una ridotta cura di sé;
  • descrive un netto peggioramento della qualità di vita;
  • ha un declino della salute fisica e mentale.

Altri segni e sintomi da non sottovalutare possono essere:

  • sentirsi angosciati, tristi o preoccupati costantemente;
  • sentirsi spossati;
  • dormire troppo, o troppo poco;
  • dimagrire o ingrassare;
  • perdere interesse per attività amate in precedenza;
  • abusare di alcolici, medicinali, o sostanze stupefacenti;
  • avere problemi di salute mai avuti prima, ad esempio mal di testa;
  • avere sbalzi d’umore improvvisi.

Riconoscere i segnali di pericolo è fondamentale per il/la caregiver per capire quando è arrivato il momento di chiedere aiuto, in primis provando, laddove possibile e nelle modalità più appropriate alle proprie necessità e a quelle della persone che accudisce, di delegare. Basterebbe che i MMG somministrassero periodicamente dei questionari di auto valutazione del carico stress ai e alle loro assistiti/e che svolgono un ruolo di caregiver informali, per intercettare i segnali di malessere e porvi rimedio.

Quando non è possibile delegare, quando si è da soli/e a portare il peso dell’accudimento, quando non ci si può neppure concedere il lusso di ammalarsi a propria volta, è la Sanità pubblica che deve intervenire. Sono le Istituzioni, i servizi sociali, la politica, che devono intervenire con misure di supporto ad ampio spettro. Non esiste alternativa, come non esiste alternativa per un genitore, un/a figlia/a, un/a coniuge, alla presa in carico della persona amata in stato di disabilità. Il livello di progresso di una società si misura sulla qualità dei servizi compassionevoli alla persona.  Sosteneva la grande antropologa Margaret Meade che il primo segno di civiltà nelle culture antiche, era il riscontro di uno scheletro con un femore rotto e poi guarito. Perché significava che di quella persona con una gamba rotta qualcuno si era preso cura, che non era stata abbandonata a se stessa. Che quella gamba era stata bendata, immobilizzata, e che la persona era stata portata in un luogo sicuro e accudita, affinché avesse il tempo per riprendersi e guarire.

Dobbiamo prenderci cura di chi si prende cura, questo è il massimo grado di civiltà che si possa raggiungere.

Il riconoscimento e la presa in carico del/la caregiver dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni della politica e della sanità, così come della società tutta. Perché inutile girarci intorno, tutti/e, prima a o poi nella vita, saremo chiamati/a a ricoprire questo scomodo ruolo, e a doverci confrontare con il suo fardello. Non basterà un bonus caregiver una tantum, allora, a rendercelo meno gravoso.

PARLIAMO DI CAREGIVER FAMILIARI CON…

Lamberto Bertolé – Presidente della Rete Città Sane OMS e Assessore welfare e salute del Comune di Milano

Genitori di figli/e disabili/e si trovano spesso a dover temere il raggiungimento della maggiore età del figlio/a, perché è il momento in cui si sentono abbandonati dalle istituzioni. Esistono benemerite realtà che includono persone con certi tipi di disabilità in percorsi professionali ad hoc e leggi apposite. Ma non tutte le forme di disabilità possono essere incluse nel tessuto socio-lavorativo. Cosa accade a quei genitori che, ad esempio, abbiano figli/e cerebrolesi gravissimi o con patologie degenerative irreversibili, che devono essere accuditi/e h.24? A chi possono rivolgersi per chiedere aiuto e supporto pratico e psicologico o come possono fare concretamente per evitare di annullarsi e immolarsi nel ruolo del caregiver assoluto?

La piena inclusione e l’autonomia delle persone con disabilità e non autosufficienti sono obiettivi da cui non si può prescindere in una società che voglia definirsi civile. E soprattutto non dovrebbero essere obiettivi di cui si fanno carico solo ed esclusivamente le famiglie, ma dovrebbero essere inquadrati all’interno di un percorso condiviso in cui lo Stato – attraverso il suo sistema sanitario ma anche la costruzione di progetti personalizzati che siano adeguatamente finanziati – si assuma la responsabilità della cura dei suoi cittadini e delle sue cittadine più fragili, nel solco di quel principio di equità sociale che non va confuso con il concetto di mera uguaglianza.  In questi anni sono stati fatti alcuni passi avanti in questa direzione con l’approvazione della legge 112/2016 sul cosiddetto “Dopo di noi” che sostiene l’assistenza e la cura delle persone con disabilità grave, non dovuta all’invecchiamento, con l’obiettivo di renderle capaci di essere autonome quando non avranno più il supporto della loro famiglia.

Le risorse sono accessibili tramite un avviso pubblico che prevede la presa in carico e la valutazione del bisogno da parte dei servizi sociali territoriali. A dicembre 2023 il Comune di Milano supportava – con un finanziamento statale di 1,4 milioni di euro all’anno riconducibili alla legge 112 – oltre 470 ragazzi e ragazze, giovani uomini e donne e, in generale, nel 2023, sono state oltre 2mila le persone non autosufficienti per cui sono stati attivati progetti di vita indipendente. Il finanziamento dei progetti di accompagnamento può riguardare il supporto alla residenzialità, il sostegno economico per coprire i costi della locazione o per interventi di adeguamento dell’ambiente domestico, o ancora può servire per garantire soggiorni sollievo o ricoveri in pronto intervento. La legge ha avuto il merito di affermare un principio e un modus operandi, ma i risultati sono ancora insufficienti sul piano pratico e si dovrebbe insistere sia per ottenere l’investimento di maggiori risorse sia per rivendicare la necessità di una maggiore attenzione agli aspetti della salute mentale, non solo degli assistiti ma anche dei loro caregiver, e dell’integrazione sociosanitaria degli interventi. Per esempio, a gennaio 2024 il Ministero per le disabilità ha avviato un Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari. I prossimi mesi potrebbero, quindi, essere un’occasione importante per il Governo, per ascoltare la voce degli operatori sociali che, all’interno degli enti locali, si occupano quotidianamente della materia e, soprattutto, l’opinione e il contributo dei diretti interessati.

Molte persone con un trascorso di caregiver potrebbero diventare punti di riferimento per chi stia ancora ricoprendo quel ruolo. Il loro supporto, le skills acquisite negli anni di accudimento sia sotto il profilo pratico/burocratico che emotivo, potrebbero essere valorizzate e messe a disposizione. Dai racconti raccolti dalle associazioni dei caregiver tra i loro associati, emerge spesso questo desiderio, che però non si traduce quasi mai in azioni concrete anche per mancanza di progetti in tal senso. Quali potrebbero essere le “buone pratiche” in questa direzione?

A chiunque, in vari momenti della propria vita, può succedere di essere chiamato a rivestire il ruolo del caregiver: di un figlio, di un genitore o un parente anziano, del coniuge. Molto, troppo spesso a sacrificarsi per prendersi cura dei propri cari sono le donne. L’obiettivo di ogni ragionamento in questo senso deve essere quello di uscire da una discussione che riduce tutto a una dimensione individuale, per sdoganare il fatto che si tratta di una condizione collettiva che merita una risposta complessiva e strutturata. Da questo punto di vista, il Comune di Milano è a disposizione per facilitare e supportare progetti che favoriscano lo scambio, la condivisione e la valorizzazione delle esperienze di tutti. L’obiettivo deve essere quello di arrivare all’inserimento del o della caregiver all’interno di un sistema integrato di presa in carico della persona con disabilità che comprenda sia le figure familiari che quelle professionali messe a disposizione dal sistema di supporto che va costruito.

Felicia Giagnotti Tedone, Presidente Progetto ITACA ETS, Commendatore al merito della Repubblica italiana

La creazione e valorizzazione dei gruppi di auto-mutuo-aiuto può essere un buon strumento di supporto psicologico da includere stabilmente tra i progetti ASL destinati ai caregiver?

Progetto Itaca ha un’esperienza ventennale nella gestione di Gruppi di Auto-Aiuto (G.A.A.). Io stessa mi sono avvicinata ad Itaca, nel 1999, per frequentarne il primo, appena costituito. In seguito, nel corso di ben sei anni, ho svolto l’attività di facilitatrice e successivamente di formatrice di nuovi facilitatori e di responsabile di G.A.A. di Itaca Milano, contribuendo alla stesura di un protocollo poi adottato da tutte le sedi di Italia. Alla luce di tale esperienza, anche personale, e allo svilupparsi dei Gruppi sollecitati e richiesti dai numerosi famigliari che si rivolgono alla nostra Associazione in tutta Italia, posso confermare con assoluta certezza, che lo strumento dell’Auto Aiuto è uno strumento di supporto per i caregiver di indiscutibile efficacia da inserire in modo strutturale nei percorsi di cura.  Aggiungo anche che i G.A.A. di Itaca non si configurano come gruppi di psico-educazione guidati da professionisti, ma come gruppi in cui famigliari prepararti (facilitatori) coordinano altri famigliari sul modello del “supporto tra pari”. Tale scelta nasce dalla piena consapevolezza che il ritrovarsi tra pari cioè tra persone che vivono le medesime esperienze e difficoltà, renda più efficace la condivisione.

Parlare, condividere l'esperienza. Essere semplicemente ascoltati in ambiti protetti e in assenza di giudizio può essere già una terapia per il caregiver? Quanto è importante potersi sfogare e sentirsi capiti?

La condivisione è il “cuore” dell’aiuto che il gruppo può offrire ad ogni suo membro.  Confrontarsi con altri famigliari che vivono le tue stesse difficoltà, ti fa capire di non essere solo. Parlare con la certezza di essere ascoltato e di essere accolto senza giudizio è fonte di grande sollievo e supporto. Il gruppo però non è solo “luogo di conforto e di sfogo”, è anche luogo di scambio e aiuto reciproco. Partecipando a un incontro, talvolta, si “aprono delle finestre” nella propria mente si intravedono soluzioni, comportamenti già sperimentati da altri, ai quali da solo, non avevi ancora pensato. In tal modo ci si arricchisce, ci si aiuta vicendevolmente, si cresce attraverso le esperienze e le conoscenze degli altri. Questa è la forza potente e misteriosa dell’auto-aiuto tra pari, la forza che viene da un’esperienza comune di vita, un’esperienza comune di sentimenti, di emozioni, di paure. Attraverso il gruppo si cresce, ci si confronta, ci si supporta, si supera la solitudine e l’isolamento e spesso si apre il cuore alla speranza.

Parliamo del senso di colpa. Il caregiver lo conosce bene, subentra ogni volta che ci si sente sollevati dal peso dell'accudimento quotidiano, grazie ad un ricovero o nelle ore del giorno in cui si riesce a trovare una soluzione. Quanto può far male a livello psicologico vivere colpevolizzandosi e cosa si può fare per liberarsi?

Il senso di colpa è una costante nella vita di chi vive a fianco di una persona amata che soffre di malattia mentale. Inevitabilmente pensa di essere responsabile, in qualche modo, di quella malattia. Tante volte di fronte alla malattia mentale si sentono frasi: “Ma in che famiglia viveva? Ma il padre e la madre come l’hanno tirato su?”. Questi luoghi comuni non fanno altro che aumentare la voragine del dolore e il senso di colpa del caregiver. Sono domande che si aggiungono a quelle che il caregiver fa a sé stesso: “Dove ho sbagliato? Quali errori irreparabili ho commesso?” Il senso di colpa non ti abbandona mai e, spesso, si accresce quando si è sollevati per aver “rubato” all’accudimento del tempo per sé e per la propria vita. Come si fa a liberarsi e ad accettare umanamente i propri limiti e i propri bisogni? È un percorso difficile, pieno di ricadute. È necessario per il caregiver imparare a capire le caratteristiche della malattia mentale, della molteplicità delle cause – biologiche, psicologiche, sociali, ambientali – che ne sono alla radice; imparare ad accettare che non tutto, nel bene e nel male, dipende da sé; chiedere aiuto agli altri, in famiglia, fuori dalla famiglia nel territorio e nelle strutture. È un lungo percorso che può richiedere anni e per il quale è necessario formazione, conoscenza, consapevolezza per conquistare quel giusto distacco emotivo, ben sapendo che il proprio benessere è un bisogno fondamentale per ogni caregiver, ma anche il modo migliore per essere vicini ed utili alla persona malata ed amata.

Fonti di riferimento

Liu Z, Heffernan C, Tan J. Caregiver burden: A concept analysis. Int J Nurs Sci. 2020 Jul 25;7(4):438-445. doi: 10.1016/j.ijnss.2020.07.012. PMID: 33195757; PMCID: PMC7644552.

Associazioni caregiver familiari:

Associazione CARER

Associazione Caregiver rfamiliare

Mayo Clinic Caregiver Stress

puntata n° 129 del podcast GuidaPsicologi Sostegno al caregiver