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La cura allargata: il trattamento di adolescenti disregolati con caregiver o familiari

L’approccio dialettico comportamentale (DBT-A) ha negli anni, e attraverso numerosi studi clinici controllati e randomizzati, dimostrato un’alta efficacia verso il trattamento di adolescenti disregolati.


«È un momento di cambiamenti drammatici nel corpo, nel cervello e nel comportamento, ma anche un momento in cui le identità si consolidano e si forgiano i valori per tutta la vita. È un tempo non solo sconcertante e talvolta pericoloso, ma anche un periodo di grandi miglioramenti nell’acquisizione di nuove competenze, regolazione degli affetti, risoluzione dei problemi e nel processo decisionale. È un tempo di confusione e di aspettative mutevoli, di grandi passioni e ideali elevati; di picchi fisici in forza, velocità, tempo di reazione, tolleranza agli stressanti ambientali e resistenza a molte malattie. È un tempo in cui la morbilità e la mortalità aumentano del 200-300%.

L’adolescenza è il momento culminante per l’emergere di diverse classi di malattie psichiatriche, tra cui ansia e disturbi dell’umore, psicosi, disturbi alimentari, disturbi della personalità e abuso di sostanze(1) – ma è anche un momento in cui i trattamenti possono raggiungere il massimo effetto.»(2)

Lo scenario “normale” adolescenziale descritto da questo incipit appare sicuramente periglioso ma per certi versi affascinante. Soprattutto definire il confine tra normalità e patologia oltreché trattare adolescenti appare indubbiamente complesso.

Esistono infatti condizioni specifiche che richiedono un’azione tempestiva e una costruzione talora repentina di soluzioni terapeutiche in grado di fermare un treno di emozioni negative e azioni incontrollabili.

Nell’ambito della ricerca scientifica da alcuni anni queste condizioni patologiche vengono collocate all’interno del costrutto della disregolazione emotiva: una dimensione emergente sempre più importante per comprendere i diversi problemi di adattamento dell’età evolutiva. La disregolazione emotiva è ora riconosciuta in tutte le discipline e prospettive teoriche come una caratteristica trans-diagnostica di vari esiti di salute mentale.(3-6)

Che cos'è la disregolazione emotiva

La disregolazione emotiva è una dimensione emergente sempre più importante per comprendere i diversi problemi di adattamento dell’età evolutiva. Ora, è riconosciuta in tutte le discipline e prospettive teoriche come una caratteristica trans-diagnostica di vari esiti di salute mentale.

Questo riconoscimento deriva dalle seguenti considerazioni:

  • una o più forme di emozione disregolate sono osservate in tutte le dimensioni strutturali della psicopatologia derivate empiricamente, inclusi disturbi internalizzanti, esternalizzanti e disturbi psicotici;(7-10)
  • la disregolazione emotiva è una caratteristica comune della personalità patologica ed è quindi uno dei quattro criteri generali per i disturbi della personalità;(11,12)
  • la modulazione top-down interrotta della reattività emotiva è osservata in molte forme di psicopatologia, anche se le suddivisioni funzionali della corteccia prefrontale che sottostanno alla regolazione delle emozioni differiscono a seconda della classe di emozione considerata;(13,14)
  • la disregolazione emotiva nell’infanzia e nell’adolescenza conferisce una potenziale vulnerabilità alla psicopatologia nell’età adulta.(15)

Nell’ambito di questo costrutto così ampio è incluso un pattern patologico specifico di adolescenti che, a fronte di un significativo livello di vulnerabilità emotiva, considerato elemento costitutivo individuale biologico, e di fattori di rischio ambientale interdipendenti, promuove lo sviluppo e il consolidamento di gravi comportamenti disfunzionali come l’autolesività e le condotte suicidarie.

È il modello biosociale della Linehan sviluppato per i disturbi di personalità borderline e attualmente rimaneggiato secondo le nuove recenti ipotesi neuroevolutive da Beauchaine (Modello di sviluppo biosociale della disregolazione emotiva e delle caratteristiche psicopatologiche, 2015).

La funzione interdipendente e bidirezionale in grado di costituire una transazione ad alto rischio patologico si costituisce tra un individuo, il bambino con affettività negativa, impulsività e alta sensibilità emotiva (con vulnerabilità genetica) e un ambiente “invalidante”: il caregiver che è guida inadeguata all’apprendimento delle emozioni, rinforzo negativo di espressioni emotive avversative, parenting inefficace per carenza di sintonizzazione e/o per risorse familiari insufficienti.

Tale condizione costituisce l’elemento basilare dello sviluppo e del potenziamento di un deficit del controllo degli impulsi in associazione all’incremento della disregolazione emotiva che, secondo una traiettoria evolutiva disfunzionale, determinerà l’insorgenza di comportamenti disadattivi ripetuti fino a una modalità pervasiva e permanente, quindi altamente patologica.

La terapia dialettico-comportamentale (DBT)

La terapia dialettico-comportamentale (Dialectical Behavior Therapy, DBT) nasce da questo costrutto teorico e considera come modello d’intervento efficace la visione dialettica di un sistema che coniuga l’adolescente all’ambiente considerandolo un insieme di forze e fattori coesi e interdipendenti secondo una modalità bidirezionale.

L’intuizione significativa, per quanto non esclusiva di questo modello terapeutico, si connota nel principio di un trattamento “allargato”, quindi multifamiliare che prevede il coinvolgimento dell’adolescente e della famiglia.

L’adolescente con comportamenti para-suicidari pur essendo considerato il focus terapeutico principale nella DBT-A (DBT per adolescenti) esprime un’atipia di sistema e viene cooptato all’interno di un trattamento dove la centralità della realtà e quindi di una verità è in trasformazione sia all’interno dell’universo intrapsichico del paziente che inter-psichico.

L’approccio multifamiliare è quindi tracciato secondo una serie di passaggi clinici che sanciscono non solo la definizione di un progetto terapeutico specifico ma l’inizio di una cura non esclusiva, si sottolinea, dell’adolescente.

La rivoluzione copernicana di un trattamento simile riguarda due aspetti: la visione dialettica del metodo quando, nell’accurata analisi del caso adolescente e quindi dei comportamenti a rischio, si considera come centrale la comprensione, il riconoscimento e l’accettazione del disturbo all’interno di forze diverse che si muovono secondo ordini propri ma influenti tra di essi.

Il significato del sintomo è quindi il vettore da cui far partire un’azione di consapevolezza e alleanza terapeutica non solo finalizzata alla promozione del cambiamento del singolo ma all’interno di un processo che destruttura e modifica un assetto collettivo in parte cronicizzato. Il secondo elemento innovativo si costituisce secondo un rigore metodologico altamente manualizzato per cui la proposta terapeutica sul paziente e sul familiare pone condizioni precise e decisive che potranno essere accettate o rifiutate dagli stessi.

La struttura portante della DBT sul piano metodologico concepisce innanzitutto il trattamento secondo step definiti che corrispondono alla gravità e alla complessità del caso. Ogni stadio presenta quindi una gerarchia di priorità o obiettivi di trattamento.(16)

Stadi della DBT

Il momento introduttivo del trattamento corrispondente al contatto iniziale e alla valutazione preliminare è esso stesso contemplato secondo un coinvolgimento di tutti i membri familiari e non solo dell’adolescente stesso: anche in questa condizione l’elemento nodale del metodo non riguarda “il condurre il minore a una terapia” ma si applica secondo un concetto di consapevolezza e di condivisione delle problematiche manifestate dall’adolescente secondo un principio di cura più ampio.

La valutazione preliminare sarà quindi una fase primaria di questo processo che, oltre a tracciare la storia familiare e i dati anamnestici del ragazzo/a, secondo un riconoscimento dettagliato delle fasi più cruciali dello sviluppo, è anche l’occasione per avviare un processo di collaborazione e per instaurare un rapporto di fiducia tanto con l’adolescente quanto con i genitori. Durante questi incontri si procede alla valutazione in modo parallelo (adolescenti/genitori) o in alcuni casi condiviso delle cinque aree problematiche, i sintomi “core” della grave disregolazione emotiva e comportamentale che investe il paziente:

1. confusione su di sé;
2. impulsività;
3. disregolazione emotiva;
4. problemi interpersonali;
5. problemi tra adolescente e famiglia.

L’adozione delle linee guida generali per l’assegnazione al trattamento sostiene quindi il clinico nella decisione di proporre all’adolescente e al nucleo familiare il modello d’intervento DBT. Se un adolescente soddisfa almeno tre criteri delle cinque aree problematiche DBT o presenta tentativi di suicidio o NSSI ripetitivo, la DBT viene altamente raccomandata.(16)

Lo step successivo all’idoneità dell’adolescente e della famiglia al programma DBT prevede tuttavia una fase di pretrattamento.

Questo momento è fattivamente considerato cruciale nella cura del paziente (definito cliente in DBT) e si compone di un orientamento alla terapia e l’impegno ad essa; il tempo trascorso in questa fase specifica e la capacità del clinico di iniziare alla DBT sancisce una disponibilità autentica alla cura.

Il riconoscimento delle problematiche da parte del ragazzo e della famiglia permette al terapeuta di collegare queste aree al corrispondente modulo di Skills. Il principio basilare è quello di introdurre i diversi moduli di abilità al fine di facilitare il progresso verso tutti i settori problematici condivisi. Conquistare e ottenere quindi l’impegno a partecipare allo skills training sia da parte degli adolescenti sia dei genitori rappresenta un obiettivo indispensabile affinché si possa introdurre il metodo terapeutico DBT standard.

Esso è generalmente caratterizzato da uno skills training multifamiliare, da una terapia individuale per l’adolescente, da un team meeting settimanale e da altri trattamenti ancillari previsti all’interno di un format terapeutico rigorosamente manualizzato.

Il ruolo dei genitori assume quindi un’importanza decisiva fin dalle battute iniziali. Il clinico, svolgendo un orientamento specifico alle famiglie, esplicita e rende chiaro il format e le linee guida con gli assunti della DBT e richiede ai genitori di assumersi l’impegno della terapia secondo condizioni e criteri chiari.

Questo processo prevede quindi la possibilità di istruire da subito tutti coloro che saranno i partecipanti al gruppo (genitori e adolescenti) alla teoria biosociale e quindi di introdurre una prima fase di psicoeducazione imprescindibile all’avvio del trattamento stesso.

Conoscere e ri-conoscere i problemi della vita, i valori e gli obiettivi di ognuno collocandoli all’interno di una cornice terapeutica solida ed efficace permette anche di sondare le irrealistiche aspettative dei genitori riguardanti l’approccio stesso o viceversa la sfiducia e quindi gli stati emotivi negativi emergenti, legati alla convivenza con un problema psichiatrico del proprio figlio spesso anche molto grave.

Le famiglie, in una buona parte dei casi, presentano una storia molto lunga di trattamenti sanitari svolti secondo le pratiche mediche più disparate, hanno al loro attivo numerosi ricoveri ospedalieri del loro figlio/a; in questo difficile scenario la proposta di un nuovo trattamento e di un impegno “primario”, a fronte di uno stato di saturazione o di stanchezza psichica legata alla problematicità della patologia psichiatrica, richiede la possibilità di ottenere un ascolto autentico da parte del clinico, l’accettazione delle personali resistenze e la ricerca di una cooperazione genitoriale da affrontare secondo il principio cardine della validazione e quindi il riconoscimento emotivo delle difficoltà di ogni cliente.

La partecipazione ufficiale nel gruppo di skills training da parte degli adolescenti e familiari non è mai quindi scontata e può talora richiedere più tempo del previsto: è possibile che un adolescente sosti nello stadio di pretrattamento e d’impegno preliminare per settimane prima d’iniziare il gruppo.(16)

In questo lasso di tempo vengono utilizzate dal terapeuta stesso delle strategie di impegno mantenendo un alto grado di flessibilità e creatività verso i clienti. La riluttanza di uno dei genitori o di entrambi può interferire nella compliance terapeutica dell’adolescente e deve essere quindi trattata con la speranza di poter essere plasmata e di essere acquisita almeno parzialmente.

Migliorare la loro motivazione fornendo anche soluzioni concrete e pratiche nella gestione di orari e tempi permette di renderli estremamente funzionali alla riuscita del trattamento, potenziandone i risultati.(17)

La DBT identifica nei membri della famiglia coloro che parteciperanno alle skills insieme agli adolescenti; esiste tuttavia una duttilità del metodo che permette di includere i nuovi coniugi dei genitori divorziati o altri caregiver (limitando il coinvolgimento di due persone al massimo).

La selezione della figura di accudimento, in questi casi, al fine di condividere questa esperienza terapeutica, comporta che la persona trascorra molto tempo con l’adolescente e abbia aderito volontariamente alle linee guida per il gruppo di skills training.

Gli obiettivi di trattamento della DBT e in modo particolare del gruppo multifamiliare comprendono: la strutturazione dell’ambiente al fine di supportare, potenziare e personalizzare l’uso idoneo delle skills; la motivazione dei clienti (genitori e adolescenti) all’utilizzo delle abilità riducendo le strategie di coping disfunzionali; la possibilità di fornire metodi per la generalizzazione delle nuove abilità acquisite, dalla terapia alla vita reale.(18)

La messa in pratica delle abilità consiste quindi nel permettere di applicare le skills in tutti i contesti rilevanti nella vita degli adolescenti e quindi nell’ambito delle situazioni familiari, ricevendo un rinforzo positivo che possa riconoscere la strategia di coping adattiva adottata dal ragazzo/a potenziandone i vantaggi e allontanandosi dal “vecchio e reieterato” rischio di invalidare l’effetto.

La conservazione di queste strategie, ossia la capacità di mantenerle nel tempo secondo un processo d’interiorizzazione e rinforzo prevede il coinvolgimento fattivo dei genitori anche attraverso un coaching telefonico o sedute individuali al fine di rendere il contesto familiare più validante e supportivo.

Nella DBT-A infine è concepito un modulo specifico per genitori e adolescenti denominato “sentiero di mezzo” (“Middle of the Path”, Miller, 2007), che affronta i vari problemi inerenti le relazioni familiari e le modalità di funzionamento comportamentale dei genitori alle prese con adolescenti disregolati.

Anche in questo caso, l’approccio dialettico si considera elemento costitutivo del modulo stesso secondo un apprendimento sia dei dilemmi dialettici che comunemente si verificano all’interno delle famiglie sia delle strategie comportamentali per la risoluzione condivisa degli stessi.

Conclusioni

L’approccio dialettico comportamentale (DBT-A) ha negli anni, e attraverso numerosi studi clinici controllati e randomizzati, dimostrato un’alta efficacia verso il trattamento di adolescenti disregolati con comportamenti para-suicidari dando prova di una maggiore aderenza al trattamento stesso e ottenendo la diminuzione significativa dei giorni di ricovero psichiatrico e la riduzione/estinzione della frequenza e della gravità dei tentativi di suicidio, dei comportamenti autolesivi non suicidari e dell’ideazione suicidaria.(19-21)

La struttura del programma di DBT skills training secondo il format multifamiliare pur seguendo un metodo evidence based e focalizzandosi su un percorso “completo” per l’apprendimento di tutti i moduli, considera la partecipazione dei genitori e degli adolescenti come passaggio fondamentale della terapia.

L’ammissione flessibile di altri caregiver si integra, inoltre, con la possibilità di costituire alternative e quindi opzioni terapeutiche al modello di gruppo multifamiliare standard permettendo la costituzione delle varianti come gruppi paralleli adolescenti e famiglie (a discrezione del team, dei limiti della struttura o delle caratteristiche del gruppo), secondo un uniforme programma DBT o uno skills training limitato a una sola famiglia.

Il denominatore comune di un approccio DBT standard e di queste possibili variazioni dal modello multifamiliare classico riguarda la necessità di effettuare un lavoro globale ed efficace che permetta di includere tutte le parti del sistema affinchè l’impegno di ogni cliente, quindi adolescente e caregiver, funga da rinforzo e potenzi le proprie capacità adattive, secondo una visione dialettica che è essa stessa fonte di radicale cambiamento.

 

Autrice: ARIANNA TERRINONI, Dirigente Medico Neuropsichiatra Infantile presso la UOC NPI – Psichiatria Adolescenti – Policlinico Umberto I di Roma Psicoterapeuta e Terapeuta DBT Team NPI ROMA

 

Bibliografia

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