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vita da caregiver

Caregiver e percorsi terapeutici integrati: budget di salute

Le situazioni che deve affrontare un caregiver familiare possono essere molto diverse, ma tendono a inasprirsi con la crescita delle necessità di assistenza del congiunto con disabilità, e in combinazione con la mancanza o l’insufficienza di supporti di Servizi privati o pubblici.


Mentre Cura stava attraversando un certo fiume, vide del fango argilloso. Lo raccolse pensosa e cominciò a dargli forma. Ora, mentre stava riflettendo su ciò che aveva fatto, si avvicinò Giove.

Cura gli chiese di dare lo spirito di vita a ciò che aveva fatto e Giove acconsentì volentieri.
Ma quando Cura pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e volle che fosse imposto il proprio nome. Mentre Giove e Cura disputavano sul nome, intervenne anche Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché ella gli aveva offerto il suo stesso corpo.

I disputanti elessero Saturno, il Tempo, a giudice il quale comunicò ai contendenti la seguente decisione: «Tu Giove che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu Terra, che hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu Cura che per prima diede forma a questo essere, finché esso vive lo custodisca. Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami Homo poiché è stato tratto dall’Humus».(1)

Il mito di Cura di Igino, Fabulae, II secolo d.C.

 

Il mito citato è stato ripreso da Heidegger(1) nella sua opera Essere e Tempo, nella quale ha sottolineato come la cura dia forma all’uomo e sia anche ciò a cui appartiene tutta la vita.

L’avere cura si realizza nel momento presente, ma come sottolineava Heiddeger ci proietta in avanti, perché non è la semplice riparazione meccanica di un malfunzionamento, ma piuttosto un progetto da costruire insieme. È un incontro che poggia sullo scambio reciproco, dove chi offre aiuto crea con l’altro, a partire dalle potenzialità, andando alla scoperta di risorse e non solo di deficit.

Chi “si prende cura” della persona con disabilità o patologia cronica sopporta un forte stress psico-fisico.

È un impegno gravoso che ricade spesso sulla “diade” caregiver-curato. Al caregiver è richiesta acquisizione di competenze nell’organizzare assistenza, nel prestare le cure anche con aspetti tecnici, nel conciliare i tempi di vita con quelli dell’assistenza, nell’interagire e “dialogare” con il sistema sanitario e socio-assistenziale.

L'impegno del caregiver

Al caregiver è richiesta acquisizione di competenze nell’organizzare assistenza, nel prestare le cure anche con aspetti tecnici, nel conciliare i tempi di vita con quelli dell’assistenza, nell’interagire e “dialogare” con il sistema sanitario e socio-assistenziale.

Il caregiver è “costretto” ad apprendere costantemente cose nuove, anche di sé e delle proprie capacità.

Ha bisogno di informazioni e di aiuto, di confronto e di dialogo, per contenere aspetti disorientanti della malattia e per non spezzare il filo di senso che lo motiva e lo sostiene nell’assistenza a causa del “burden” (peso)(2,3) che porta progressivamente a sentimenti di solitudine, affaticamento fisico e psicologico, frustrazione, sentimenti di afflizione per sovraccarico di responsabilità (di assistenza, di lavoro e familiari), per le difficoltà economiche, per trovarsi costretto talvolta a ridurre il lavoro retribuito o a rinunciarvi per prestare assistenza.(4)

Le situazioni che deve affrontare un caregiver familiare possono essere molto diverse, ma possiamo convenire che esse tendono a inasprirsi con la crescita delle necessità di assistenza del congiunto con disabilità, e in combinazione con la mancanza o l’insufficienza di supporti di Servizi privati o pubblici.

Le linee guida emanate dal Ministero della Sanità sulla riabilitazione (5) hanno l’obiettivo di ridurre le conseguenze disabilitanti della malattia attraverso la ricostruzione del tessuto affettivo:

«La riabilitazione è un processo di soluzione dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, con la minor restrizione possibile delle sue scelte operative. Il processo riabilitativo coinvolge anche la famiglia del soggetto e quanti sono a lui vicini. Di conseguenza, il processo riabilitativo riguarda, oltre che aspetti strettamente clinici, anche aspetti psicologici e sociali. Per raggiungere un buon livello di efficacia qualsiasi progetto di riabilitazione, per qualsiasi individuo, deve quindi essere mirato su obiettivi plurimi, programmati in maniera ordinata, perché l’autonomia raggiungibile nei diversi ambiti possa tradursi in autonomia della persona nel suo complesso e comunque in una migliore qualità della vita della persona».(6)

Nei Paesi occidentali l’assistenza informale del caregiver è stata ormai riconosciuta come una questione centrale delle politiche sociali e dai Servizi socio-sanitari.

Da tempo si pone la necessità di ridisegnare le politiche di intervento rendendo la rete dei servizi socio-sanitaria integrata nell’ottica di superamento del modello tradizionale di salute (paziente, valutazione individuale, sintomo, diagnosi, prestazione riparativa, intervento contenitivo, assistenza sanitaria) per giungere a un modello integrato nel quale la persona (soggettività) considerata nel proprio contesto di vita diventa parte attiva del proprio percorso di cura, che attraversa una valutazione multidimensionale e multiprofessionale di un funzionamento basato sull’analisi di determinanti di salute, co- costruisce il proprio progetto individualizzato volto all’inclusione sociale, alla promozione della salute e al miglioramento della qualità di vita.

In tale cornice si colloca la sperimentazione del Budget di Salute (BdS) in Romagna, che si sviluppa sulla base di una forte azione propositiva della Consulta Regionale Salute Mentale, con l’obiettivo di individuare nuovi strumenti socio- sanitari per utenti che non trovavano una risposta appropriata nei percorsi tradizionali.(7)

Nel corso della sperimentazione di tale strumento integrato sono emerse alcune riflessioni sul diretto coinvolgimento del caregiver (inteso come chiunque si prenda cura, non solo familiari) (8) nel percorso terapeutico della persona e nel riconoscimento di un ruolo di fondamentale importanza, NON per “essere messo a conoscenza” di risposte terapeutiche delegate ad altri ma poiché esso stesso RISORSA nel CO- CONDIVIDERE, CO-PROGETTARE, CO-COSTRUIRE percorsi di definizione di azioni, obiettivi e risposte a partire dall’analisi dei bisogni specifici della persona.

Coinvolgimento del caregiver in processi di cura integrati: esperienze di BdS presso il centro di salute mentale di Cesena, Ausl Romagna

Il Budget di Salute rappresenta uno strumento integrato sociosanitario a sostegno del progetto terapeutico personalizzato costituito da risorse personali, familiari, sociali e sanitarie al fine di migliorare la salute, nell’ottica della recovery, del benessere, del funzionamento psico-sociale, dell’inclusione della persona e della sua partecipazione attiva alla comunità mediante l’attivazione di percorsi evolutivi.(9)

In linea con le direttive regionali,(7) il BdS nasce da un’esigenza di superamento dei metodi terapeutici tradizionali caratterizzati da una forte delega terapeutica alle Istituzioni per un modello socio-sanitario integrato che, in ottica “capovolta”, parte dai bisogni specifici della persona e sancisce il protagonismo dell’utente e della famiglia, ponendo i contesti istituzionali al servizio dei bisogni specifici della persona nell’ambito di un progetto personalizzato e favorendo conseguentemente percorsi di empowerment(10,11) e di recovery.(12)

Si tratta di un modello in cui la persona ha un ruolo attivo, quindi prevalentemente PARTECIPATO, che mette in moto e valorizza anche le risorse spontanee del contesto sociale e che si fonda sul principio dell’integrazione, in un’ottica di salute intesa come benessere sociale ed equilibrio/interazione del soggetto nel suo ambiente di vita: «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità» (OMS, 1948).

Al centro si collocano i bisogni della persona, rispetto ai quali, a partire dalla valutazione multi-professionale e/o di più servizi, si costruisce un Progetto Terapeutico-Riabilitativo Individualizzato (PTRI) che si concretizza in un contratto condiviso, il Progetto Accordo Riabilitativo Integrato (PARI) fondato sulla integrazione sanitaria e sociale.

Si tratta di una metodologia che sostiene i diritti della persona pensata nel suo contesto di vita e si realizza nel processo UVM (Unità di Valutazione e Progettazione Multidimensionale) attraverso la valutazione multi-professionale dei bisogni e delle risorse della persona per la formulazione di piani terapeutico- riabilitativi personalizzati, con assegnazione di responsabilità precise e di precise scadenze di verifica, con il coinvolgimento diretto e attivo delle famiglie (caregiver) nell’attuazione degli stessi.

Risponde a una logica pattizia attraverso la sottoscrizione del contratto nel quale vengono descritti specifici interventi nelle aree che costituiscono i principali determinanti sociali di salute: abitare, formazione-lavoro, socialità.

Le linee di indirizzo (DGR 1554/2015)(7) identificano gli elementi qualificanti del Budget di Salute:

  • UVM sanitaria e sociale, con il coinvolgimento di pazienti, familiari, altri soggetti vicini alla persona;
  • progetto personalizzato, sottoscritto dall’utente, condiviso con i familiari e altri soggetti coinvolti nella realizzazione.

In sede UVM si esplicitano gli elementi utili al progetto precedentemente raccolti e descritti nel PTRI e resi disponibili per il tavolo di lavoro, si avvia la valutazione congiunta attraverso l’interazione dei vari componenti della UVM, sollecitando il contributo di tutti con particolare attenzione a utenti, familiari e caregiver.

L’UVM si conclude attraverso la corretta compilazione del PARI (Progetto Accordo Riabilitativo Integrato) e sottoscrizione da parte di tutti i partecipanti.

In sostanza è un accordo, cioè un contratto, che regola i rapporti tra la persona e i partner pubblici e privati. Nel contratto sono indicate le risorse messe a disposizione delle parti e gli impegni (definisce chi fa che cosa) declinati sui 3 assi dei principali determinanti di salute (casa, lavoro, socialità).

Vincola i contraenti alla reciproca responsabilità e restituisce al soggetto il potere contrattuale di partecipare alla definizione dei percorsi di cui ha bisogno.

Pone in una situazione di parità tutti i soggetti coinvolti permettendo di fatto alla persona di riappropriarsi di una serie di diritti di cittadinanza. Definisce un momento di partecipazione decisionale che diventa il primo indicatore di un recupero di funzionamento sociale della persona.

Alla luce di quanto descritto, si può comprendere come il momento dell’UVM definisce un contesto nel quale si riconosce anche la famiglia o il caregiver come componente del sistema dei servizi nel progetto a favore della singola persona e nell’ambito di budget di cura si riconosce anche il ruolo del caregiver familiare sia come impegno emotivo sia come impegno economico.

Attraverso la sottoscrizione del PARI, infatti, si definiscono i compiti e i “doveri” di tutti i partecipanti al tavolo e quindi anche del caregiver, ma in particolare per quanto riguarda il caregiver alcuni diritti (13) irrinunciabili quali: il diritto di scelta nell’assumere il ruolo e nel mantenerlo (rivalutazione in successive verifiche), il diritto a risposte integrate da parte dei Servizi (tutti presenti al tavolo anche attraverso figure delegate) che prevedano risposte articolate e flessibili, capaci di sostenere il ruolo del caregiver; il diritto all’informazione e formazione e soprattutto il diritto a essere riconosciuto come soggetto attivo nella cura del familiare e nell’interlocuzione con i servizi, e quindi come co-attore del percorso terapeutico individualizzato.

Al termine della riunione viene inviato verbale e copia del PARI all’equipe curante e a tutti gli altri componenti della UVM, perché a ciascuno resti traccia dell’impegno condiviso.

L’esperienza pilota in un nostro Distretto, caratterizzata da percorsi BdS con i criteri (requisiti minimi) definiti a livello Aziendale è stata via via sempre più fluida e positiva.
Aldilà di alcune criticità che sicuramente andremo ad affrontare e meglio definire, è emerso un dato fortemente positivo.

I risultati di tale sperimentazione sono stati anche superiori alle aspettative iniziali, perché l’atto della firma di tutte le parti coinvolte cambia e per certi versi capovolge i processi terapeutici.

Si passa a un modello terapeutico in cui l’utente si assume un impegno e anche la famiglia o il caregiver finalmente coinvolti diventano co-protagonisti.

Ciò non solo permette un allentamento, un abbassamento delle tensioni e del disorientamento dei familiari ma, talvolta, essi stessi diventano risorsa e propongono possibili soluzioni alternative nel raggiungimento degli obiettivi condivisi, nella effettiva co-condivisione e co-partecipazione con altri Servizi, condividono esperienze, visioni, problemi e co-responsabilità in un’ottica di totale superamento della delega ad altri e nella realizzazione di una vera integrazione socio-sanitaria.

Inoltre familiari e caregiver, se adeguatamente coinvolti e resi più consapevoli della difficoltà nelle “risorse disponibili”, manifestano un atteggiamento meno delegante ai Servizi tentando d’interrogarsi congiuntamente a questi su quali risorse attivare o quali siano possibili in quel determinato contesto.

Utente e familiari arrivano al momento dell’UVM con un progetto già chiaro e definito nel quale l’analisi dei bisogni e i conseguenti obiettivi sono stati già ampiamente analizzati e discussi in precedenza con le varie figure multi-professionali presenti all’interno dell’equipe terapeutica.

Non sono mancati naturalmente dubbi e riflessioni in itinere. Un’iniziale perplessità ad esempio in corso di sperimentazione è stata la compresenza di troppe figure dei vari Servizi che in qualche modo avrebbe potuto “intimorire” o creare disagio agli utenti e loro familiari nella libera esplicitazione dei propri bisogni o vissuti. In realtà, nella sperimentazione ciò si è rivelato per certi versi un timore infondato per vari aspetti.

La presenza di tutte le figure di riferimento coinvolte dei vari Servizi, la condivisione dei bisogni di utente e famiglia, la co- progettazione che si realizza nel PARI ha favorito sempre, in tutti i percorsi attivati, un reale impegno dell’utente, una partecipazione attiva della famiglia (coinvolta anche nelle successive verifiche) e un conseguente vissuto di “benessere” non solo dell’utente ma anche dei familiari, spesso colpiti e impressionati dal coinvolgimento e dalla partecipazione attiva dei Servizi presenti, che sottoscrivevano anch’essi un contratto.

Considerazioni finali

Forse una questione ancora aperta o l’altra faccia della medaglia su un livello più organizzativo è che la compresenza ed un lavoro in co-partecipazione e co-progettazione crea una conseguente esigenza di coordinamento delle parti che si è cercato di superare con l’individuazione della figura del case-manager; tale aspetto ad oggi necessita di limature e miglioramento per rendere più fluidi comunicazioni e percorsi.

La restituzione alle associazioni utenti e familiari dei dati emersi dai percorsi BdS in presenza dei “facilitatori” dei percorsi di attivazione BdS ha rafforzato il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei diversi Servizi e dei loro destinatari, coerentemente con la metodologia BdS.

Sicuramente il cammino è ancora lungo e arduo ma il pensiero iniziale ha trovato riscontri evidenti. Il BdS costituisce una linea d’indirizzo, un pensiero co-costruito che conduce a un’esplorazione di possibilità, che costruisce risorse.

L’integrazione tra il sistema di cura e il sistema di Comunità attraverso la metodologia BdS diventa occasione “formativa, trasformativa e generativa” e quindi un work in progress a favore di utenti, famiglia caregiver, e per la Comunità intera. In tale cornice appare evidente come tale modello, a oggi utilizzato in ambito psichiatrico, possa considerarsi estensibile a qualsiasi ambito e a qualsiasi percorso.

 

Autore: MARIELLA GIANNUZZI, Medico Psichiatra presso Csm Cesena, AUSL Romagna.

 

Bibliografia

  1. Heidegger M. Essere e Tempo. Milano: Longanesi, 1976.
  2. DoRS Regione Piemonte. La difficile “arte” dell’aver cura. Il caregiver tra stress e resilienza.
  3. Building resilience of family caregivers. Social Service Journal. 2006;14
  4. Cameron J, Franche R, Cheug A, Stewart D. Lifestyle Interference and Emotional Distress in Family Caregivers of Advanced Cancer Patients. American Cancer Society. 2002;2.
  5. Righetti A. I budget di salute e il Welfare di Comunità. Metodi e pratiche di costruzione. KIP International School
  6. Linee Guida del Ministero della Sanità per le attività riabilitative. Le strategie dell’intervento riabilitativo. Provvedimento 7 maggio 1998.
  7. Giunta Regionale Emilia-Romagna. Linee di indirizzo per la realizzazione di progetti con la metodologia del Budget di salute. Deliberazione n. 1554, 20 ottobre 2015.
  8. Scarcella C. Prospettive per la valorizzazione del caregiver familiare nelle politiche sanitarie. Società Italiana di Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica. Università degli Studi di Milano. Novembre 2013.
  9. Pellegrini P, Ceroni P, Dall’Aglio R, Soncini C. Soggetto, persona cittadino. Il budget di salute in Emilia Romagna. 180 Archivio critico della Salute Mentale. Ab edizioni alphabeta verlag, 2019.
  10. Straticò E. L’empowerment e i servizi di salute mentale. Manuale per gli operatori. Roma: CIC Edizioni Internazionali, 2009.
  11. Zani B. Strumenti concettuali e metodi di ricerca. Manuale di Psicologia di Comunità. Bologna: Il Mulini, 1996.
  12. Liberman RP. Il recovery dalla disabilità. Manuale di riabilitazione psichiatrica. Roma: Giovanni Fioriti Editore, 2012.
  13. Barnes M. Storie di caregiver. Il senso della cura. Centro studi Erickson, 2010.