ASSOCIAZIONE FAMIGLIE ARCOBALENO: INTERVISTA A SILVIA DE SIMONE

ASSOCIAZIONE FAMIGLIE ARCOBALENO: INTERVISTA A SILVIA DE SIMONE

28 Novembre 2022

Con Silvia De Simone abbiamo parlato di Associazione Famiglie Arcobaleno, gestazione per altri (GPA), diritti dei bambini e tanto altro

CHI È SILVIA DE SIMONE

Silvia De Simone è docente di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni all’Università di Cagliari, referente nazionale per la Ricerca per l’Associazione Famiglie Arcobaleno e referente regionale (Regione Sardegna) per la stessa Associazione.

Ha una moglie e tre figlie.

Da attivista per i diritti dei genitori omosessuali e soprattutto per il diritto dei loro bambini e bambine ad avere entrambi i genitori di fronte alla legge, è favorevole alla gestazione per altri (GPA), e alla possibilità di estenderla in Italia, purché opportunamente regolamentata.

Quando e come nasce l’Associazione Famiglie Arcobaleno?

Nasce nel 2005 (quando ancora neppure si parlava di omogenitorialità) dall’incontro di una decina di donne di diverse regioni che si erano conosciute on-line, alcune già madri, altre che desideravano diventarlo. A guidarle era l’idea di autodeterminarsi come genitori, secondo una serie di principi etici che mirassero a tutelare i diritti di tutte le parti in gioco. All’epoca non era scontato che le altre associazioni omosessuali accettassero la genitorialità, perché diventare genitori significava rientrare nei canoni dei ruoli tradizionali, laddove si cercava di decostruire il concetto di coppia e di famiglia. Da subito, quindi, si sono voluti includere gli uomini, considerando che la genitorialità gay è meno accettata rispetto a quella lesbica.

Quante sono le famiglie attualmente iscritte all’Associazione?

Perché tante famiglie faticano ancora a fare coming out?

L’Associazione ha un’anima politica e regole precise e non tutte le persone hanno voglia di esporsi, non tutte si sentono attiviste. C’è chi, ad esempio, non ha fatto coming out in tutti gli ambiti della vita, vuoi perché alcuni contesti sono più ostili, inclusi quelli professionali. Nell’attivismo sei visibile, puoi finire sotto i riflettori. Noi facciamo un lavoro di referenti regionali anche per chi non si espone, impegnandoci a costruire un mondo migliore perché i nostri principi – chiaramente definiti nella nostra Carta etica - sono la valorizzazione delle differenze e l’inclusione.

Che tipo di attività organizza l’Associazione?

Va subito chiarito che non siamo una società di servizi! Non accompagniamo le coppie omosessuali al percorso per genitorialità, anche perché con le leggi italiane neppure potremmo. Quello che facciamo è incontrarci, fare formazione nelle scuole, fare ricerca a livello accademico con studi di settore, promuovere iniziative per la tutela dei diritti legali dei genitori omosessuali, e soprattutto condividere le nostre esperienze di soci e fare rete tra di noi. Ogni anno organizziamo due meeting nazionali durante i quali ci confrontiamo su vari temi sotto l’ala moderatrice di gruppi di soci seniores. Durante gli incontri si stabiliscono le strategie politiche, si invitano soci di altre associazioni, i bambini fanno attività con animatori, socializzano e giocano. I meeting sono molto sentiti e creano un forte senso di appartenenza, incoraggiano le famiglie a “venire fuori”.

Usate i social per promuovere le attività dell’Associazione?

Prima dei social abbiamo usato i canali tradizionali per farci conoscere, ci siamo presentati di persona ai vicini, abbiamo organizzato seminari e incontri divulgativi nei quartieri delle nostre città. Entrare dentro un contesto e “metterci la faccia” è una cosa che rassicura moltissimo, e permette ad una realtà nuova come la nostra di essere percepita come normale, e quindi accettata. Poi è stato il turno delle presenze in televisione, un vero e proprio “boom” di interviste e dibattiti. Abbiamo creato un bel sito web che viene regolarmente aggiornato, nel quale è possibile trovare tutte le informazioni sull’Associazione. Oggi usiamo anche i social network in modo “politico”, ovvero includendo i nostri bambini e bambine.

Il vostro slogan è: “È l’amore che crea una famiglia”? È proprio così?

Parlando di bambini e bambine, ma non è lesivo dei loro diritti e della loro privacy esporli sui social?

Non c’è questo rischio. Le paure possono essere legate al far circolare un'’immagine” dei bambini, cosa che vale per tutti. I nostri figli sono militanti, sanno che viviamo in un contesto in cui manca una legge che li tuteli, quindi quando c’è da scendere in piazza scendono in piazza con noi. Sono molto informati, partecipano ai nostri meeting, sentono i nostri discorsi e capiscono ancor prima che noi grandi ci mettiamo a spiegare. Per questo sono trasparenti, raccontano le loro storie, spiegano come sono stati concepiti, chi sono i loro genitori, e tutto viene normalizzato nei vari contesti, ad esempio a scuola, in classe. Altra cosa da rilevare: il mondo è cambiato, anche gli adolescenti di oggi sono più aperti, se sei femmina e vogliono sapere se sei fidanzata, ti chiedono anche: “Di un lui o di una lei?”.

Parliamo di politica e di diritti dei bambini delle famiglie arcobaleno. Cosa vorreste dire al nuovo governo?

Che ci vuole una legge che ponga al centro l’interesse dei bambini e delle bambine, perché questa è la cosa più importante. Ci sono tante ricerche che dimostrano che nei contesti dove c’è una tutela legislativa le persone stanno meglio. In Italia siamo molto indietro e non da oggi, considerando che non abbiamo ancora una legge contro l’omostransofobia e non abbiamo una legge sulla bigenitorialità che protegga i bambini. Siccome c’è la legge sulle unioni civili, e ci sono le sentenze speciali dei tribunali, ci sembra di aver risolto il problema, ma non è così. Per la legge italiana i nostri sono solo figli del genitore che li partorisce e li registra all’anagrafe. Nei casi di separazione il genitore biologico può decidere di togliere da un giorno all’altro il figlio all’altro senza nessuna tutela per quel bambino o bambina. E l’iter per le cause in tribunale è molto lungo e costoso, non tutti possono permetterselo.

La società è più avanti della politica?

Senz’altro, ma senza le leggi non ci può essere reale inclusività, anche perché l’omofobia (compresa quella interiorizzata, di cui le persone non sono consapevoli), è ancora molto presente e va combattuta. L’Italia è indietro proprio relativamente alle scelte politiche e ciò contrasta con le esperienze di vita dei soci, che sono per lo più positive: come accade nelle scuole, ad esempio, o nello sport. Tutto migliorabile ma c’è una buona predisposizione. Notiamo questo tipo di attitudine supportiva nei contesti – nord, centro, sud e isole comprese – specialmente quando le famiglie si dichiarano, quando escono allo scoperto. Probabilmente perché ci si accorge che non c’è nulla di “spaventoso”, che siamo famiglie come le altre.

La gestazione per altri (GPA) è un tema spinoso che in Italia suscita un’opposizione feroce e trasversale. Ne parliamo?

Spieghiamo innanzi tutto che all’estero si tratta di una modalità usata sia dalle coppie etero che dalle coppie omogenitoriali. Esiste un modo giusto per farla, e anche in questo caso servirebbe una legge ad hoc. Il modello giuridico a cui noi come Associazione ci rifacciamo è quello canadese, che ha un SS pubblico, a differenza di quanto accade negli USA. Per poter diventare “portatrici” (sono chiamate così le donne che portano avanti una gravidanza per altri, spesso con gameti femminili non propri ma di un’altra donna detta “donatrice” n.d.r.) le candidate devono avere certe caratteristiche, ad esempio aver già avuto altri figli o figlie. Tutto il percorso deve essere inserito all’interno di un contesto normativo che scongiuri qualunque possibilità di sfruttamento della donna. Conoscere le portatrici è però l’unico modo per aprire gli occhi, scardinare tanti pregiudizi e capire che la gestazione per altri non è una mostruosità, ma una scelta libera e consapevole. Io ho avuto questo piacere.

Senza entrare troppo nel dettaglio, che caratteristiche hanno queste portatrici?

Sono per la maggior parte donne benestanti, con famiglie proprie, che fanno questa scelta per motivi diversi tra cui il desiderio di aiutare amici/fratelli gay. Altra motivazione è l’essere a proprio agio nella gravidanza, non avere problemi nel portarla avanti. Nei loro racconti emerge la consapevolezza costante – dall’inizio della gestazione fino al parto - di stare mettendo al mondo figli di altre famiglie. Per loro non è una questione ideologica, i nostri scrupoli italiani non li capiscono. Sono donne illuminate, non tutte, non in tutti i Paesi, ma laddove sono in vigore le leggi di cui parlavo, fanno un percorso che le porta a questa decisione.

Una delle principali obiezioni alla maternità surrogata è quella relativa all’aspetto economico, e quindi alla “mercificazione” della gravidanza.

Se vogliamo parlare di soldi, allora che differenza c’è con le spese che i genitori devono affrontare nell’iter delle adozioni internazionali? Eppure in quel caso nessuno va a dire: “Ti stai comprando un figlio”. Ci vogliono paletti normativi che impediscano questo rischio, e comunque nei casi che ho conosciuto e che dovrebbero essere considerati come il percorso ideale di GPA anche in Italia, le donne portatrici non erano in difficoltà economiche, perciò la loro non era una decisione dettata dall’indigenza. Intendiamoci, in contesti diversi dal nostro, in cui la Sanità si paga come accade negli USA, la salute della portatrice deve essere tutelata, e quindi un contributo economico serve.

Cosa succede o può succedere dopo il parto?

Dipende da quanto “si piacciono” le persone (portatrice e genitori). Molto spesso accade che i genitori mantengono un rapporto/frequentazione con la portatrice o la donatrice (degli ovuli), e i figli vengono coinvolti. Ci sono casi bellissimi in cui entrambe le famiglie (anche quella della portatrice) si frequentano abitualmente senza nessuna confusione di ruoli. È tutto molto chiaro per tutti, in primis per i bambini e bambine a cui viene spiegato come sono stati concepiti e qual è la loro storia. Parliamo quindi di famiglie allargate e fuori dagli schemi. Altre volte il rapporto tra genitori e portatrice si conclude dopo il parto. Può succedere anche questo.